Il Kirghizistan è una Repubblica relativamente giovane, dichiaratasi indipendente venti anni fa e guidata per quindici da Askar Akayev. Uomo di scienza senza un passato direttamente legato al comunismo e simpatizzante del WTO, sembrava il candidato ideale per creare un angolo di democrazia nel cuore dell’Asia Centrale.
Il paese è invece rimasto governato, al pari dei suoi vicini, da un sistema presidenziale con un forte accentramento dei poteri. È già in questo contesto che ha iniziato a muovere i suoi primi passi Roza Otunbayeva, all’epoca Ministro degli Esteri.
La Otunbayeva vive a lungo tra Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna. Nel 2003 si sposta a Tblisi dove vive da vicino la georgiana Rivoluzione delle Rose e rientra in patria nel 2004, forte di una nuova rete di contatti con fondazioni statunitensi disponibili a finanziare movimenti democratici (1).
Solo un anno dopo la popolazione kirghisa si solleva dando vita a quella che sarebbe poi stata ribattezzata Rivoluzione dei Tulipani. Roza Otunbayeva ne è una delle principali sostenitrici, insieme a Kurmanbek Bakyev, destinato a diventare nuovo presidente del Kirghizistan nel dopo-rivoluzione.
In capo a cinque anni la situazione è destinata a mutare nuovamente, e l’8 aprile 2010, le agenzie stampa di tutto il mondo diffondono la notizia che il presidente è stato rovesciato con una rivolta che vede in testa proprio la Otunbayeva, nel frattempo estromessa dal governo Bakyev e passata al ruolo di forte opposizione.
Il Post-Rivoluzione
Da aprile altri importanti eventi si sono succeduti. Il 27 giugno il governo ad interim ha indetto un referendum per una nuova Costituzione e il passaggio da una Repubblica presidenziale a un sistema misto tra presidenziale e parlamentare, funzionale a riequilibrare una gestione storicamente autocratica dei poteri (2). In quell’occasione si è recato alle urne oltre il 60% della popolazione e il sì alla nuova Costituzione democratica è passato con il 90% dei voti. Cifre che, in un contesto tribale e instabile come quello del Kirghizistan, ricordano panorami sovietici e mettono più di qualche dubbio.
Contrariamente alle aspettative, gli osservatori internazionali dell’Osce hanno dichiarato una sostanziale trasparenza della gestione dei voti.
Una spiegazione che possa legittimare la bontà di cifre così sospette si può forse trovare anche nel dramma consumatosi nella regione di Osh, proprio alle porte del referendum costituzionale.
In quell’occasione, la maggioranza kirghisa si è scontrata in un violentissimo raid contro la minoranza uzbeca, che ha lasciato dietro di sé almeno quattrocento morti e migliaia di profughi. Proprio una parte di questa enorme massa di uzbechi è rientrata nei luoghi della persecuzione appositamente per esprimere il suo voto.
Gli Agenti Esterni
Al contrario dei suoi vicini, il Kirghizistan non è un paese ricco di risorse energetiche e materie prime, la popolazione khirghisa è storicamente nomade, e la situazione economica disastrosa. La sua posizione è però geostrategicamente interessante al punto da renderlo un grande conteso tra Russia e Stati Uniti. Con le basi militari di Kant (Russia) e Manas (USA) è infatti l’unico paese al mondo a ospitare basi di entrambe le potenze.
Gli Stati Uniti in particolare hanno un crescente rapporto di vicinanza diplomatica con la Repubblica centro asiatica. Come già accennato, sono stati nel 2005 con l’amministrazione Bush e attualmente con Obama, degli agenti attivi nello stesso sostegno e finanziamento ai movimenti rivoluzionari.
Risale al 24 settembre il meeting statunitense tra Roza Otunbayeva e Barack Obama, in occasione del quale il presidente americano ha avuto modo di congratularsi ufficialmente per i progressi khirghisi in senso democratico. Dichiarazioni che non vanno intese come semplice diplomazia di facciata, dato il forte interesse degli Stati Uniti a mantenere una posizione militare privilegiata per le manovre verso il fronte afghano. In questo senso garantire un clima stabile in Kirghizistan è di primaria importanza.
La Federazione Russa dal canto suo, ha forse un ruolo meno attivo, ma più complesso.
L’Asia Centrale è un vicino storico e ben conosciuto. Le vicende dei rapporti tra Russia e vicino Oriente iniziano intorno alla metà del 1500 con Ivan IV Il Terribile, attraversano secoli di tentativi maldestri di gestire le politiche tribali della Steppa, e se possibile si complicano ulteriormente in epoca sovietica con la gestione di un enorme impero multietnico.
Questa lunga storia rende la Russia attuale uno spettatore forse poco oggettivo, ma anche con una conoscenza ben più profonda delle dinamiche interne alle ex Repubbliche Sovietiche. Per questo probabilmente Vladimir Putin non ha tutti i torti quando si esprime negativamente riguardo al nuovo cammino intrapreso dal Kirghizistan. Il Primo Ministro ha infatti recentemente espresso grande preoccupazione, affermando che un sistema di tipo parlamentare, in quel contesto, non può funzionare.
Se sono innegabili gli interessi meramente economici e politici che la Russia nutre nei confronti degli –stan countries, sono innegabili anche i grossi rischi dell’instaurare un regime democratico in un contesto clanico, tribale e autarchico.
L’atteggiamento russo è anche il riflesso dei timori generalmente diffusi tra i paesi più e meno confinanti con il Kirghizistan. Quel che si teme non è tanto un improvviso dilagare della febbre democratica, quanto le conseguenze disastrose in caso di fallimento. Emblematico l’esempio dell’Uzbekistan, il cui principale interesse è quello di non dover avere a che fare con le masse di profughi di origine uzbeca che si sposterebbero dal Kirghizistan in casi di nuove persecuzioni.
L’opinione generale è che un sistema senza accentramento dei poteri sia troppo debole per poter resistere alle tensioni interne al paese, e in particolare alla presenza di gruppi dissidenti di estremisti religiosi che vorrebbero dichiaratamente instaurare una teocrazia. Questi gruppi come Hizb al-Tahrir, sono attivi in particolare proprio nella regione di Osh, e i recenti scontri hanno dimostrato come l’area sia terreno fertile per lo scoppio di tensioni inter-etniche.
Non bisogna peraltro dimenticare, che una delle differenze principali tra questa sollevazione e quella del 2005, è stata la presenza rilevante di slogan nazionalisti e atteggiamenti aggressivi nei confronti delle minoranze etniche presenti nel paese.
Situazione Attuale: Elezioni, Timori, Prospettive
Questa aspirante democrazia ha proprio in questi giorni compiuto l’importante passo delle elezioni politiche. A dispetto dei timori di molti, quel che ne è uscito, sono state elezioni pacifiche e, pare, regolari.
Dalle elezioni del 10 ottobre il partito nazionalista Ata Zhurt è uscito con una maggioranza risicata del 9%, seguito dall’8% circa del Partito Socialdemocratico (3). Roza Otunbayeva manterrà la carica di presidente fino alla fine del 2011 e nel frattempo sarà necessario creare un governo di coalizione nel tentativo di dare stabilità al paese.
Per indirizzare il Kirghizistan verso dei progressi reali, sarebbe forse necessario vedere una collaborazione tra forze rivali, laddove la Russia avrebbe gli strumenti di conoscenza del territorio necessari per evitare pericolosi scivoloni da parte degli Stati Uniti. Panorama surreale in un contesto in cui chiari interessi strategici supereranno sempre ricerca di stabilità e velleità di democratizzazione.
* Ginevra Lamberti è laureanda in Lingue e Culture dell’Eurasia e del Mediterraneo (Università Ca’ Foscari di Venezia)
(1) Si veda peacereporter.net http://it.peacereporter.net/articolo/21195/Kirghizistan,+ri-rivoluzione+colorata
(2) Per informazioni più precise sul nuovo sistema elettorale khirghiso http://www.levanteonline.net/esteri/mondo/2028-nuova-costituzione-nuovo-governo-e-nuove-sfide-per-il-kirghizistan.html
(3) Risultati delle elezioni politiche via ilpost.it http://www.ilpost.it/2010/10/11/risultati-elezioni-kirghizistan/