Tutto è pronto o quasi nel Bahrein in vista delle elezioni parlamentari e municipali, in programma per il 23 ottobre prossimo. Il piccolo Stato – isola racchiuso tra le coste del Golfo Persico e del Golfo dell’Oman, lambito dalle acque dell’Oceano Indiano e non molto distante dai punti strategici del traffico mondiale di gas e petrolio, quali ad esempio lo stretto di Hormuz (punto nevralgico del commercio iraniano con il resto del mondo), si prepara al rinnovo del suo Parlamento e dei suoi distretti, dislocati nei cinque governatorati di cui si compone (Muhafaza). E lo fa a quattro anni di distanza dall’ultima tornata elettorale indetta nel 2006, che ha sancito la vittoria di fatto della coalizione sunnita ma che, nel contempo, ha segnato un importante balzo in avanti dei candidati sciiti nella dimensione pubblica e politica. Infatti, in quell’occasione gli sciiti in corsa per un seggio alla camera bassa dei deputati ottennero il 40 per cento dei 40 seggi in palio al Parlamento. Senza dubbio un successo, rispetto a quanto accadde nel 2002 con il boicottaggio delle votazioni da parte sciita e le accuse di ostracismo rivolte alla controparte minoritaria sunnita al potere.
Per comprendere appieno la situazione politica e le complessità che attraversano e caratterizzano questo piccolo “regno racchiuso tra due mari”, occorre far luce su alcuni aspetti di cruciale importanza. Primo fra tutti, la duplice combinazione religiosa: da un lato, la minoranza sunnita, dall’altra, la maggioranza sciita. Una miscela che in diversi contesti politici avrebbe potuto provocare delle esplosioni, ma che entro i confini della monarchia si limita a produrre delle scintille. Una convivenza, quella tra sunniti e sciiti a volte pacifica a volte segnata da animosità sfociate molto spesso in proteste e dissensi da parte della maggioranza di fede sciita (circa il 70%). Il restante 30% (o poco meno) è sunnita. Su una popolazione che nel complesso conta circa un milione di abitanti (di cui mezzo milione stranieri e di religione musulmana), le percentuali sopra indicate sono assai significative se le si applica al piano della politica e della vita pubblica. È proprio qui che appare chiara la netta distinzione tra le due fazioni e il profondo contrasto di orientamenti e tendenze.
Gli sciiti, come abbiamo visto, costituiscono la grossa fetta della popolazione, ma nel contempo risultano scarsamente numerosi sul versante politico. A mantenere ben salde le redini del potere economico e politico del Paese ci ha pensato fin’ora la triade monarchica sunnita formata da Hamad Bin Isa Al Khalifa, re dell’arcipelago, dallo Sceicco Khalifa bin Salman Khalifa, Primo Ministro e dallo Sceicco Salman bin Hamad Al Khalifa, principe e deputato a supremo comando. La fazione sunnita – a cui la famiglia reale appartiene – presiede di fatto il Consiglio della Shura (Camera Alta del Parlamento), i cui membri (40) sono nominati direttamente dal monarca. Mentre, la Camera Bassa dei deputati viene nominata attraverso il voto dell’elettorato. Ciò dimostra le profonde differenze insite nella rappresentanza civile e parlamentare: da un lato vi è la maggioranza della popolazione di fede sciita, e dall’altra, vi è una classe dirigente formata da un esiguo numero di sunniti. Una discriminante politica che ha generato molto spesso proteste e manifestazioni di piazza da parte sciita.
A tal proposito, occorre fare un passo indietro di circa 8 anni e soffermarsi all’ottobre 2002. A questa data risale la nomina della camera bassa dei deputati (il Majlis al–Nuwwab) eletta direttamente dal popolo. Un passo in avanti verso quel processo di democratizzazione e libertà promesso dal re Al Khalifa, attraverso il completamento dell’assemblea legislativa parlamentare. Ma l’adozione di un sistema bicamerale non è piaciuta all’opposizione politica sciita, rappresentata dal movimento di opposizione Al Wafaq (ricordiamo che in i partiti politici sono banditi) formato dagli sciiti tradizionalisti. Il risultato è stato il boicottaggio delle elezioni politiche (circa il 60% della popolazione non si è recato alle urne). Un forte astensionismo compensato nei giorni precedenti le elezioni da un’accesa campagna elettorale portata avanti dalle due fazioni contrapposte. Eppure le elezioni del 2002 – con la scontata vittoria della minoranza sunnita – hanno rappresentato una prima timida apertura verso un processo “democratico”. O almeno così è parso di vedere. La popolazione non si recava alle urne dal 1975, cioè da quando il Parlamento venne sciolto.
Per più di trent’anni la vita parlamentare è stata pressoché assente. Perciò, l’aver indetto libere elezioni dopo un trentennio ha dimostrato la volontà dell’ovattato ambiente monarchico sunnita di voler giocare la carta dell’esperimento elettorale. Un primo tentativo liberale era stato già approntato nel lontano 1973 con l’approvazione di una Costituzione. Tuttavia, le garanzie costituzionali che la Carta offriva erano facilmente derogabili, quindi piuttosto deboli. La fase costituzionale si concluse con lo scioglimento del Parlamento nell’agosto del 1975, su decreto del re al Khalifa. Bisognerà attendere il 1999 e la nomina del nuovo reggente, l’emiro Hamad Bin Isa Al Khalifa, perché si possa dare inizio ad una nuova stagione politica, animata da promesse di riforme sociali e politiche. Alcune si sono concretizzate nel corso del tempo, altre no, e ciò ha scatenato la reazione del blocco sciita, il quale ha fin da subito accusato la minoranza sunnita di ostracismo e manipolazioni, al solo fine di mantenere inalterato l’ampio controllo politico.
Al di là delle profonde divergenze di carattere sociale e della faticosa convivenza tra sciiti e sunniti, l’anno dei graduali cambiamenti in (o almeno la speranza che questi potessero prendere finalmente corpo) è stato il 2006. Le nuove elezioni hanno di fatto segnato un balzo in avanti della controparte sciita in campo politico, aprendo loro le porte del Parlamento. Ma alla rinnovata fiducia riposta da una maggioranza disillusa e costretta a vivere all’ombra del potere monarchico sunnita, le rinnovate elezioni hanno dovuto fare i conti con vecchi problemi non ancora del tutto risolti. Tuttavia, i due turni elettorali (rispettivamente indetti il 25 novembre e il 2 dicembre del 2006) hanno segnato un importante traguardo: circa il 72% della popolazione avente diritto di voto si è recata alle urne. Inoltre, un cospicuo numero di preferenze è andato alla principale formazione sciita del Paese, l’Islamic National Accord Association (INAA).
Quattro giorni dopo la prima tornata elettorale, il Consiglio dell’Unione Europea ha reso pubblica la sua “soddisfazione” in merito alle elezioni parlamentari svoltesi in Bahrein nel 2006, e lo ha fatto attraverso una Dichiarazione[1]. La UE ha espresso soddisfazione riguardo il considerevole numero di elettori recatosi alle urne (rispetto all’esigua cifra registrata nel 2002), a dimostrazione dell’importanza attribuita dal popolo “al processo elettorale nello sviluppo di uno stato democratico”.
I contrasti che attraversano il Bahrein non si arrestano alla sola sfera politica. Il piccolo regno – con i suoi 665 km² di superficie – geograficamente occupa una posizione per alcuni versi “privilegiata”, per altri non immune da rischi e pericoli di possibili ingerenze non gradite da parte dei Paesi confinanti. Le sue acque territoriali confinano ad ovest con quelle dell’Arabia Saudita e a sud con quelle del Qatar. Ma è a nord-est che le sue acque sfiorano la parte più meridionale dell’Iran. Una presenza, quella iraniana, a volte ingombrante e a volte necessaria. Ingombrante laddove la Repubblica Islamica dell’Iran con il suo attuale presidente avanza rivendicazioni di natura egemonica sui Paesi del Golfo Persico (regno del Bahrein incluso), necessaria sul versante economico per il redditizio traffico di materie prime (gas e petrolio). Non sempre Bahrein e Iran hanno goduto di buoni rapporti di vicinato. Un legame discontinuo il loro alimentato da un’altra presenza altrettanto ingombrante: l’Arabia Saudita, nemica naturale dell’Iran e amica a fasi alterne del Bahrein. Iran e Arabia Saudita si temono a vicenda, seppur entrambe puntino al medesimo obiettivo: instaurare una leadership in seno al mondo islamico. Dal punto di vista religioso, l’Arabia Saudita è sunnita, mentre l’Iran conta una maggioranza sciita. Dal punto di vista etnico la prima è araba, la seconda è persiana. Dal punto di vista politico, l’Arabia Saudita è filo – americana, mentre l’Iran si è da sempre distinta per il suo profilo politico anti – occidentale (fin dagli albori della Rivoluzione del ’79). Questi fattori hanno inciso profondamente anche sugli altri Stati del Golfo, Bahrein compreso. Anzi, se si guarda con attenzione una carta geografica, si comprende come il piccolo regno del Bahrein sia stato quello maggiormente coinvolto nelle dispute arabo-iraniane. Il Bahrein occupa geograficamente una posizione centrale: più vicina all’Arabia ma neanche troppo distante dall’Iran. A separarla da quest’ultima solo le acque del Golfo Persico. Ed è intuibile come la rivalità religiosa, etnica e politica dei due Stati abbia attratto le tendenze politiche e sociali del piccolo regno. Da un lato, l’Arabia Saudita ha cercato di attirare a sé la minoranza sunnita bahreinita al potere, dall’altra, la Repubblica Islamica dell’Iran, ha cercato di attrarre a sé la maggioranza sciita facendo presa sul serpeggiante dissenso. Il Bahrein appare in quest’ottica come il regno stretto tra due forze antagoniste.
Se i rapporti di buon vicinato tra Iran e Bahrein vacillano sul versante geopolitico, appaiono piuttosto solidi sul versante economico. Nel 2008, Bahrein e Iran hanno firmato un protocollo per la cooperazione energetica. Il documento ha sancito di fatto un partenariato tra i due Paesi. Il Bahrein è pronto ad investire e acquistare gas iraniano. L’Iran s’impegna a rifornire le riserve energetiche di circa un miliardo di metri cubi di gas al giorno. La produzione di petrolio in è piuttosto limitata, rispetto agli altri Paesi del Golfo. Può contare solo sul campo petrolifero e di gas “Awali”. Questa riserva assicura al piccolo regno una scorta energetica pari a 125 milioni di barili, grazie all’estrazione di circa 33 mila barili al giorno di grezzo e 500 milioni di metri cubi di gas. Tuttavia non sufficienti a soddisfare nuove esigenze. Il gas iraniano estratto dai giacimenti di South Pars – di proprietà di Iran e Qatar – servirà ad alimentare e imprimere maggior impulso allo sviluppo delle centrali elettriche e delle industrie pesanti. Nella lista dei settori industriali che potranno godere di tali rifornimenti, un posto di riguardo è occupato dalla principale industria di alluminio – l’Alluminium Bahrein, la prima fonderia di alluminio nella regione del Golfo.
Il Bahrein riveste un ruolo di primo piano anche in un altro settore: quello finanziario. Il picco regno ha sfruttato appieno la sua posizione geografica e, soprattutto, la vicinanza con l’Arabia Saudita e il Kuwait per divenire un importante centro inshore e offshore per tutta la regione del Golfo. L’attenzione verso le attività e le infrastrutture dedicate al settore finanziario è ampiamente giustificata anche dal numero elevato di attori che operano in tale comparto: il conta 39 banche di investimento e 31 uffici di rappresentanza di banche internazionali. 25 sono le banche commerciali straniere occidentali e, soprattutto americane e inglesi (tra cui City Bank, Usa, Standard e Regno Unito). A tal proposito, non bisogna dimenticare che il Bahrein è una monarchia filo occidentale (a partire dalla sua indipendenza nel 1971) e filo anglo/americana. Il porto della capitale Manama ospita la sede della Quinta Flotta Usa; nel maggio del 2004 Bahrein e Usa hanno firmato un accordo di libero scambio, scatenando le reazioni della vicina Arabia Saudita che considera un simile accordo lesivo degli interessi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, ma che si è rivelato piuttosto vantaggioso per le imprese Usa che investono in settori non – oil (bensì in servizi finanziari, costruzioni, sanità, istruzione e turismo).
Il Bahrein ha saputo da sempre sfruttare appieno la sua peculiarità geografica e geopolitica, mantenendo buoni rapporti di vicinato con gli altri Paesi del Golfo; ad esempio con il Qatar. Un rapporto il loro ancora più stretto grazie all’accordo sottoscritto per la realizzazione di un grandioso progetto infrastrutturale (2009). La creazione di un ponte di collegamento tra i due Paesi, il cosiddetto “Ponte dell’Amicizia” della lunghezza di 46 km per un costo complessivo di 2,5/3 miliardi di dollari, vedrà la luce tra cinque anni.
I grandiosi progetti e l’ampliamento dei settori industriali e commerciali, nonché la profonda asimmetria sociale e le divergenze etnico – religiose derivanti dalla compresenza di due blocchi contrapposti (sunniti e sciiti) non potevano non catturare l’attenzione della Repubblica Islamica dell’Iran e del suo presidente, Ahmadinejad. Sono recenti le ultime dichiarazioni del leader iraniano a proposito della sua amicizia decennale con il regno del Bahrein (29 giugno 2010). Amicizia fondata sulla cooperazione e la collaborazione in campo petrolifero ed energetico. Ma dietro queste dichiarazioni di buone intenzioni da parte del presidente iraniano, si potrebbe celare ben altro. Ad esempio, l’intento di Ahmadinejad di voler implementare il proprio potere d’influenza sugli Stati del scacchiere medio orientale. Un’attenzione particolare è stata riservata dal leader iraniano al piccolo regno del Bahrein e alla sua particolare situazione politica interna. Facendo perno sulle insofferenze della maggioranza sciita defraudata dei suoi diritti politici e sulle periodiche sommosse urbane, la Repubblica Islamica dell’Iran ha cercato con tutti i mezzi di catturare la fiducia di un’opinione pubblica disillusa. E lo ha fatto spesso e volentieri attraverso dichiarazioni al vetriolo e provocazioni di sorta: l’ultima risale al gennaio 2009, quando l’ayatollah iraniano Ali Natek Nuri – vicino alla dirigenza rivoluzionaria iraniana – affermò che “ l’arcipelago del è la 14° provincia iraniana”, con l’obiettivo di aizzare gli sciiti contro la dirigenza sunnita. Tuttavia, i rapporti tra i due Paesi si sono rinsaldati nel 2010, grazie ad un ottima intesa nel settore degli scambi commerciali.
CONCLUSIONI
In Bahrein è ancora aperta la sfida elettorale tra sunniti e sciiti. Mancano 20 giorni al voto ed è difficile capire se la maggioranza sciita riuscirà ad ottenere una più ampia rappresentanza politica e nuovi seggi in Parlamento. Al momento risultano circa 200 candidati, con un numero di indipendenti superiori rispetto a quelli presentati e sostenuti dalle formazioni politiche ufficiali. Una novità, rispetto alle precedenti tornate elettorali. Ma destinata con ogni probabilità a rimanere sulla carta. Tuttavia, il vento sciita che ha soffiato sul Bahrein e sulle elezioni del 2006, potrebbe rimodellare nuovamente il volto delle prossime elezioni.
* Pamela Schirru è laureanda in Filosofia Politica (Università di Cagliari)
Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autore e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”
[1] Visitabile sul sito www.consilium.europa.eu